27 febbraio 2024
In qualità di accademici e accademiche che lavorano in università svizzere e internazionali, scriviamo questa lettera aperta [1] con viva preoccupazione per l’erosione della libertà accademica e per il clima sempre più anti-intellettuale che si respira in Svizzera. In particolare, desideriamo affrontare il fenomeno dell'intensificazione degli attacchi da parte di alcuni media e del mondo politico alle scienze sociali e umanistiche. Si tratta di uno sviluppo globale che precede la guerra in corso a Gaza, ma che si è intensificato dal 7 ottobre 2023.
Finora, in Svizzera, il clima post-7 ottobre ha portato a due indagini amministrative su istituti universitari che si occupano di ricerca critica e di insegnamento in aree quali studi di genere, critical race studies, migrazione, border studies, studi coloniali e postcoloniali. Sebbene questa lettera non sia il luogo adatto per affrontare nel dettaglio questi casi specifici [2], vediamo emergere una dinamica con implicazioni che vanno al di là di questi episodi specifici. Siamo profondamente preoccupati e preoccupate che questo sviluppo possa costituire un precedente problematico per altre discipline, dipartimenti e università in Svizzera.
Temiamo che, attraverso le indagini amministrative di Basilea e Berna, le università abbiano indirettamente accettato e legittimato un discorso mediatico non qualificato e politicizzato che dipinge la ricerca critica nelle scienze sociali e umanistiche come “ideologica” e non scientifica. A nostro avviso, la ricerca accademica ha la responsabilità di occuparsi di fenomeni sociali, in particolare quelli che sono esclusi dal dibattito pubblico o politicamente molto sensibili. Impegnarsi in una ricerca socialmente rilevante comporta naturalmente la responsabilità di fare una chiara distinzione tra le proprie opinioni normative e l’analisi scientifica. Tuttavia, non spetta alla stampa e alla politica decidere dove inizino le opinioni e dove finisca l’analisi scientifica all’interno del mondo accademico. Questa distinzione poggia sugli standard critici delle discipline scientifiche e sul pluralismo accademico. Di conseguenza, non possiamo non preoccuparci quando le istituzioni accademiche, educative o culturali sanzionano individui e dipartimenti sulla base di pressioni da parte dell’opinione pubblica.
È inoltre importante sottolineare che questi attacchi alla libertà accademica sono sintomatici di un clima politico più ampio caratterizzato da anti-intellettualismo e ostilità verso la ricerca scientifica. Come negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, in Danimarca e in Germania, il vilipendio dei ricercatori e delle ricercatrici e la delegittimazione della ricerca critica in Svizzera contribuiscono a polarizzare il discorso pubblico e a minare la credibilità delle istituzioni accademiche. Attraverso la cosiddetta agenda “anti-woke”, determinati ambiti di studio che si occupano di informare e riflettere sui processi democratici dei cambiamenti sociali e culturali (come gli studi di genere, gli studi postcoloniali e i critical race studies) sono stati mistificati come non scientifici dalle forze politiche che si oppongono a tali cambiamenti. Alcuni influenti esponenti dei media hanno continuato a fornire rappresentazioni distorte, semplicistiche e in molti casi completamente errate di ciò che istituzioni, ricercatori e ricercatrici e intere discipline sostengono e di ciò di cui si occupano effettivamente. Presumibilmente, queste rappresentazioni fuorvianti hanno lo scopo di ostacolare lo sviluppo di intere discipline scientifiche che si occupano di cambiamenti politici, sociali e culturali. È importante notare che tutte le ricerche nell'ambito delle scienze naturali, sociali e umanistiche – che si tratti di medicina, legge, storia, economia, biologia, geografia urbana o studi islamici, per citare alcuni esempi – si basano sulla negoziazione di posizioni divergenti e sul pluralismo intellettuale. Da ciò consegue che la ricerca in tutte le discipline deve essere discussa e criticata sulla base di criteri accademici e del suo valore scientifico, piuttosto che sul panico morale, sul risentimento ideologico o sull’orientamento politico.
L’effetto deleterio degli attacchi e delle mistificazioni da parte dei media, nonché delle misure amministrative, non può essere minimizzato. Al di là delle due istituzioni coinvolte, ciò ha già creato un’atmosfera di autocensura, timore e intimidazione tra gli accademici e le accademiche che lavorano in Svizzera, che esitano sempre più a parlare di questioni di loro competenza per paura di punizioni o conseguenze professionali. Ciò è particolarmente percepito dai membri di minoranze facilmente identificabili, che spesso avvertono l’ambiente accademico elvetico come ostile e alienante. In questo modo non solo si soffoca la ricerca accademica, ma si minano anche i principi democratici fondamentali della libertà di espressione e del dibattito aperto in Svizzera. In una società globale altamente complessa e dinamica, per poter continuare a sviluppare con profondità ed equilibrio il proprio dibattito democratico, la Svizzera ha bisogno che la ricerca e l’insegnamento accademici si occupino anche di temi politicamente sensibili.
In un clima altamente polarizzato, abbiamo anche osservato una tendenza sconcertante a strumentalizzare le accuse di antisemitismo [3] per mettere a tacere e delegittimare lo studio e l’insegnamento critici e gli sforzi per diversificare il mondo accademico. Tali accuse sembrano essere rivolte principalmente a tutte le ricerche riconducibili agli studi coloniali e postcoloniali e colpiscono chiunque abbia competenze specialistiche relative al Medio Oriente, in particolare gli studiosi e le studiose arabi/e, musulmani/e, palestinesi ed ebrei/e. È indispensabile sottolineare che le critiche alle politiche e alle azioni di qualsiasi governo sono componenti fondamentali della libertà accademica e della libera espressione. La strumentalizzazione delle accuse di antisemitismo non solo mina la credibilità degli sforzi legittimi per combattere l’antisemitismo, come molti ricercatori e ricercatrici critici/critiche e scrittori e scrittrici ebrei/e affermano in tutto il mondo. La strumentalizzazione banalizza anche gli effetti reali e dannosi di diverse forme di razzismo, tra cui l’antisemitismo, l’islamofobia e il razzismo anti-palestinese.
Come accademici e accademiche che vivono e lavorano in Svizzera,
Note
[1] Questa lettera è stata redatta da diversi membri dell’Università di Berna in collaborazione con i colleghi e le colleghe delle Università di Basilea, Losanna e Zurigo.
[2] Il 22.2.2024, i membri di Urban Studies dell’Università di Basilea hanno pubblicato una lettera aperta in risposta al loro caso.
[3] Circolano diverse definizioni e linee guida su come individuare e combattere l’antisemitismo. Le due guide più note sono la Working Definition dell’International Holocaust Remembrance Alliance IHRA e la Dichiarazione di Gerusalemme (JDA). La JDA può essere considerata come una reazione da parte di accademici e accademiche alla Working Definition dell’IHRA, che è stata ampiamente criticata da esperti e esperte di antisemitismo (tra cui l’autore principale della Working Definition, Kenneth S. Stern), per aver confuso le critiche alle azioni di Israele contro i/le palestinesi con l’antisemitismo.
Lettera aperta: firme dalla Svizzera e dall'estero, raccolte tra il 27.2 e il 9.3.2024 (elenco aggiornato al 19.3.2024)
Firmatari/e dalla Svizzera (in ordine alfabetico)
Il termine "Prof" comprende i professori/professoresse assistenti, associati/e e ordinari/e.
Firmatari/e dall'estero (in ordine alfabetico)
Il termine "Prof" comprende i professori/professoresse assistenti, associati/e e ordinari/e.
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